Questi giorni, storia di un film di successo. Questi giorni è il titolo del film diretto da Giuseppe Piccioni, in concorso all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, conclusosi il 10 settembre scorso. Le scelte del regista appaiono da subito coraggiose e vincenti, prima fra tutte quella di prendere spunto per la pellicola da un romanzo inedito, Color betulla giovane, di Marta Bertini, che ho apprezzato molto. Mi è sembrata decisiva anche quella fatta per le protagoniste, pienamente centrata con quello che ognuna di loro doveva rappresentare nel film. Sono state supportate e guidate in questo viaggio da una fantastica Margherita Buy, capace di dare da sola uno spessore del tutto particolare ad ogni scena a cui ha preso parte. Potrebbe sembrare una presenza ingombrante, ed invece è riuscita a dare il suo contributo in maniera decisiva nel percorso narratorio della trama del film con estrema naturalezza. Anche Sergio Rubini, nel ruolo di padre di una delle ragazze, è riuscito a dare equilibrio e significato alla sua presenza, con un’interpretazione molto personale ed indovinata, in linea con il suo carattere cinematografico. Le quattro ragazze hanno rappresentato la loro giovinezza, incerte e quasi spaventate nell’affrontare un momento decisivo della loro vita, un passaggio a volte traumatico nella crescita personale, se paragonato alla dura realtà quotidiana, priva di sogni ed illusioni. In fondo è proprio questo il compito del regista, servirsi di tutto il suo bagaglio di esperienza e tecnica personale per costruire una storia, in questo caso quella di Caterina, Angela, Anna e Liliana, e farci vivere con loro le inquietudini e le emozioni provate durante un viaggio, che le porterà a Belgrado. Una scelta anche questa vincente, una sorta di luogo lontano in cui
fare i conti con il proprio passato e guardare avanti. Lo spunto di un viaggio creato dal nuovo lavoro di una delle quattro ragazze infatti, Caterina, sarà l’occasione giusta per le altre tre di condividere i problemi che accompagnano la loro vita quotidiana, un amore, una malattia, una gravidanza. Una pellicola piacevole, originale ed intensa in tutto il suo complesso, un altro film di successo per Giuseppe Piccioni, che descrivendolo, ha detto : “Non volevo fare trattati sociologici, ovvio, ma mi piaceva mettermi in contatto con la strana energia che si ha in quegli anni, quell’attesa, quel disordine, quella confusione che ha molto a che fare con la ricerca di un’identità e un posto al mondo. Si bussa al futuro e l’aspettativa è forte; Questi giorni li abbiamo vissuti tutti, ma questi ragazzi devono far i conti con un tempo precario che ti fa pensare con maggiore urgenza al futuro di quanto l’abbiano avuta le generazioni precedenti come la mia e di contro manca loro quel sentimento universale, quel respiro del mondo che ti aiutava a tirar fuori le tue passioni che magari diventavano il tuo futuro, la musica, l’arte, la letteratura o il cinema come è stato per me. Loro invece sono costretti a diventare adulti molto presto, hanno come l’idea di non avere molto tempo davanti”.
Fabrizio Biondi