Muhammad Alì, la fine di un mito. Si è spento nel cuore della notte all’età di 74 anni, a Phoenix in Arizona, uno dei più grandi pugili di sempre, che rimarrà per sempre nell’immaginario di tutti come il più grande. Lo ha reso noto la famiglia con una dichiarazione. L’ex campione del mondo dei pesi massimi e oro olimpico a Roma ’60 era stato ricoverato giovedi’ 2 giugno per “precauzione”. Le sue condizioni non erano state giudicate gravi, ma data l’eta’ e il morbo di Parkinson, di cui ‘il Piu’ Grande’ era malato da trent’anni, i medici avevano scelto la strada della prudenza.

L’ex Cassius Clay, che aveva lasciato la boxe nel 1981, era stato in ospedale diverse volte negli ultimi anni. L’ultima nel gennaio 2015, per una grave infezione alle vie urinarie, sebbene in un primo momento gli fosse stata diagnosticata una polmonite. Pochissime da anni le sue apparizioni pubbliche, e nelle piu’ recenti era apparso sempre piu’ sofferente e fragile. Anche l’ultima volta, lo scorso 9 aprile, quando aveva voluto partecipare alla ‘Celebrity Fight Night’ a Phenix, un evento annuale che e’ anche occasione per una raccolta fondi a favore della ricerca contro il Parkinson. Era tuttavia in evidenti difficolta’ fisiche, sorretto per tutto il tempo e con il viso nascosto dietro un paio di occhiali scuri. Prima di allora aveva preso parte ad un tributo a lui dedicato nella sua citta’ natale, Louisville in Kentucky. Il morbo di Parkinson di cui soffriva fu palese al mondo per il tremore delle mani mentre accendeva la torcia olimpica nel 1996, ai Giochi di Atlanta. Eppure Muhammad Ali era rimasto attivo a lungo come figura pubblica. Nonostante la sofferenza soltanto negli ultimi anni si era del tutto ritirato a vita privata. Alcuni esperti sostengono che la malattia possa essere stata causata dai colpi presi sul ring nel corso della carriera. La sua traccia resta indelebile, non solo in quanto sportivo e campione, ma anche come una delle personalita’ piu’ rilevanti e influenti del ventesimo secolo, forse una tra le figure oggi piu’ riconoscibili in tutto il mondo. Nato Cassius Marcellus Clay Jr., cambio’ il suo nome in Muhammed Ali nel 1964, dopo essersi convertito all’Islam. Divenne un simbolo per il movimento di liberazione dei neri negli Stati Uniti durante gli anni ’60, anche per aver sfidato il governo americano, opponendosi all’arruolamento nell’esercito per motivi religiosi. E’ stato sposato quattro volte e ha nove figli. Nella sua storia ci siamo noi, comunque, non importa l’età. C’è l’America per come la trovò lui, nato nel ’42. Razzista, violenta, in un galoppo da dopoguerra; c’è il ritmo travolgente del jazz che è nero da sempre e per sempre, c’è la protesta di Martin Luther King

e quella più estrema di Malcom X. E c’è la boxe, con i soldi, le scommesse , la mafia, i neri, di nuovo, a fare a cazzotti. Lui, diverso, unico, sin dagli esordi, dall’oro alle olimpiadi di Roma, 1960, una medaglia gettata via per cominciare con una ribellione clamorosa a dare un senso più largo al proprio destino. Era elegante, del resto, bello anche dopo 14 riprese filate, pronto a ricominciare, a cambiare religione e nome. Non più Casius Clay –un nome da schiavo disse- ma Muhammad – che significa Degno di Lode – e Ali – che significa Altissimo. Musulmano nero, per nulla interessato all’ integrazione. Abbastanza per continuare a viaggiare contro. Contro avversari da abbattere clamorosamente. A cominciare da Sonny Liston, campione del mondo in carica, 1964, un match per scaricare la sua rabbia, la sua gioia, un intero repertorio da consegnare alla storia. Contro ogni convenzione che stabiliva i ruoli in ragione della razza. Contro il proprio paese che gli chiedeva di andare a combattere in Vietnam anche se nessun vietnamita- come spiegò- l’aveva chiamato negro. Un rifiuto che gli portò via il titolo mondiale e la libertà. Che non fermò la sua voglia, la sua lingua poetica e tagliente, che non fermò i suoi pugni, abbinati ad una mobilità da ballerino, ad una intelligenza svelta. Parlava, parlava, parlava. Un filo di seta dentro un’epoca densa, un uomo capace di filare parallelo alla corsa verso la luna, alla musica dei Beatles, ad una protesta giovanile che poteva comprendere nel profondo, al crollo di Richard Nixon, travolto dal Watergate.

Nixon dopo John e Robert Kennedy, dopo Luther King e Malcom X, i caduti di una rivoluzione fatta con parole e pallottole, ombre e rimpianti. Lui andava avanti. Testa, testa alta, una potente, sottilissima strafottenza. Ci ha lasciato, ora, ma importa ciò che resta, ciò che è stato. E’ stato bellissimo. Energia e poesia. Palle e cuore. Un esempio buono per chi ha talento da sport e di vincere e basta non si accontenta affatto, proprio no. Così, grazie, mister Ali. Con orgoglio… Mentre viene voglia di sapere ancora, di riguardare all’infinito, di ritrovare quel ritmo, intatto e magico. Così com’era. Proprio quello, questo qui.
Fabrizio Biondi