Libri per il cinema, una fonte meravigliosa. Ayn Rand non avrebbe mai pensato che il titolo del suo romanzo sarebbe diventato presto sinonimo di inesauribile ricchezza di inspirazione, ma la scrittura per il cinema lo è da sempre.
A cosa si può paragonare l’emozione impagabile di trovarsi di fronte ad una pagina bianca, immacolata, pronta ad accogliere le prime parole, le idee, le emozioni e i colpi di scena di un libro tutto racchiuso nella vostra mente?
La motivazione che spinge a scrivere è spesso ben depositata nell’animo dell’autore, che non sempre ha un’idea ben definita dell’opera che si sta accingendo a redigere, ma già il fatto di superare l’impatto delle prime righe, e cimentarsi in questo compito, è lodevole e degna di nota.
Il cinema non ha di questi problemi, vive, ricalca, segue, adatta e rielabora l’idea e l’ispirazione dello scrittore, dello sceneggiatore, che spesso a molti è sconosciuto, o almeno è poco noto il testo da cui è stata tratta libera licenza per la trasposizione cinematografica.
Si scrive per gli altri, sempre e comunque, e farsi comprendere dal lettore è fondamentale, ed è probabilmente la molla principale che spinge a farlo, e quindi diventa un bisogno impellente, come raccontare una storia vera, o inventarla di sana pianta, ambientata nella realtà o nel fantascientifico, magari rielaborando la propria, per non cadere nell’autobiografismo, che purtroppo in moltissimi casi, non serve a nessuno.
Il cinema ha il potere di amplificare un racconto, aumentarne i dettagli, emozionare due sensi contemporaneamente, la vista e l’udito, che combinati insieme, moltiplicano a dismisura le emozioni di una storia, che forse la semplice lettura diluita in diversi giorni non è riuscita a dare.
Tutte le emozioni di un libro condensate in due ore di pellicola, quello che lo scrittore ha fatto in mesi, magari anni, con la segreta ambizione di tenere il lettore morbosamente incollato all’evolversi della sua storia, riassunto in metri e metri di pellicola che lo spettatore divorerà in alcune decine di minuti.
Umberto Eco, dopo aver scritto “Il nome della rosa”, usava dire che lo scrittore dopo aver pubblicato il suo romanzo,
dovrebbe togliersi di mezzo e non disturbare il suo cammino.
Forse lo avrà pensato anche vedendo il film diretto dal regista francese Jean Jacques Annaud, notando nei titoli di testa la scritta che diceva “Tratto dal palinsesto del Nome della rosa di Umberto Eco”, e proprio lui si è premunito subito di spiegare questa citazione, sottolineando che il registra francese intendeva dire che “un palinsesto è un manoscritto che conteneva un testo originale e che è stato grattato per scrivervi sopra un altro testo…si tratta dunque di due testi diversi”.
E in fondo è racchiuso in queste poche parole dello scrittore e filosofo alessandrino il succo dell’indissolubile legame che esiste tra libri e cinema.
Fabrizio Biondi