Sono alcune delle domande cui risponde puntualmente Claudio Sessa con Improvviso singolare, sottotitolo Un secolo di jazz (il Saggiatore), secondo capitolo della trilogia inaugurata con Le età del jazz. I contemporanei e destinata a concludersi con un volume sugli strumenti e i solisti. Una missione impegnativa, tanto più in questo corposo capitolo centrale che abbraccia la vicenda completa di un’arte e di un’umanità rivelatasi complessa e in continua trasformazione.
Il critico milanese non si limita a raccontare, ma si dà il compito di spiegare, utilizzando ambiti di ricerca che ampliano la visuale; perché, ad esempio, se è condivisa quasi universalmente l’opinione che il jazz abbia costituito il fenomeno più significativo nella storia musicale del Novecento, sfugge probabilmente ai più il ruolo politico e diplomatico svolto tanto negli Stati Uniti — l’integrazione razziale vi ha faticosamente trovato uno dei suoi principali strumenti di lotta — quanto all’estero, nelle relazioni internazionali. Almeno dalla metà degli anni Cinquanta è stato proprio l’establishment a servirsene: prima attraverso l’emittente «Voice of America» che si rivolgeva direttamente a tutta l’area di influenza sovietica e poi, gradualmente, con le tournée che cominciarono timidamente a varcare la cortina di ferro, per non parlare della trionfale funzione propagandistica esercitata in Oriente e in altre realtà lontane. Non solo: Sessa si impone anche di rimettere a fuoco l’obiettivo sulla musica, completando ogni capitolo con la dettagliata guida all’ascolto di decine e decine di brani.
Subito dopo la prefazione del pianista Franco D’Andrea, il volume riparte dal 1492, al confine tra Medioevo e modernità, per inquadrare le radici che avrebbero portato, nel mondo nuovo, a forgiare un impensabile ibrido fra tradizioni africane e contaminazioni europee, operazione che troverà l’accelerazione finale nel consolidarsi ottocentesco dello Stato federale americano. In un attimo si arriva alla nascita della nuova musica e all’incontro con i suoi primi, leggendari protagonisti. Comincia un viaggio che ha un itinerario preciso: la New Orleans multietnica al sorgere del Novecento, l’effervescente Chicago del primo dopoguerra, la New York che si impone come centro di tutto alla svolta degli anni Trenta. Dietro l’affermazione delle grandi orchestre ci sono ragioni sociali, urbanistiche, generazionali e le stelle di questa epopea si chiamano ormai Fletcher Henderson, Duke Ellington, Benny Goodman, Count Basie e Glenn Miller. Poi la storia si fraziona sempre più, gli stili e le figure di spicco si moltiplicano confrontandosi in un mondo che comincia a travalicare i confini continentali e a rendere popolari personalità di caratura internazionale come Charlie Parker e Miles Davis, John Coltrane e Charles Mingus, Keith Jarrett e Wynton Marsalis.
Cos’è successo davvero negli ultimi trent’anni? Dove sta il confine tra jazz elettronico e fusion? Perché è giusto distinguere tra Free jazz e Scuola di Chicago? Più che una successione di stili, Sessa lancia uno sguardo d’insieme che prende in considerazione macro-periodi in cui correnti e personaggi si rispecchiano e si accavallano.
Le osservazioni sono spesso inedite, a volte in contrasto con tutto quanto è stato dato per scontato nei manuali. E uno dei meriti maggiori della ricerca sta nell’aver cercato uguale profondità nell’esame dei primordi e in quello della contemporaneità, cui è dedicata un’attenzione pressoché cronistica. Quasi a voler prefigurare le evoluzioni che sono ancora da venire.