Ivan Graziani e il rock, una storia nata in Abruzzo, il 6 ottobre 1945 a Teramo, anche se si è diffusa una leggenda
(smentita dal fratello Sergio) secondo la quale Ivan sarebbe nato sul traghetto Olbia-Civitavecchia (da cui l’origine del nome “Ivan”, “navi” al contrario). Già da bambino le sue passioni erano la chitarra e il disegno e la sua indole artistica lo porta ad iscriversi all’istituto statale d’arte di Ascoli Piceno.
Il libro pubblicato da poco e già presente negli scaffali di tutte le librerie, scritto da Paolo Talanca, intitolato “Ivan Graziani, il primo cantautore rock” , consente di smettere di pensare alla consueta agiografia sul cantante di turno. L’autore muove da un’idea-forte, quella dell’atipicità del cantautore abruzzese – e la mantiene ferma capitolo dopo capitolo, dimostrandone la consistenza, in cento pagine che bastano e avanzano all’impresa.
Il bersaglio è raggiunto in scioltezza: si parte dal milieu del contesto storico (anni Cinquanta/Sessanta del secolo scorso) dell’artista da giovane, si passa alle prove generali dei primi tre album, quindi si arriva a “I lupi” (1977) il disco in cui Graziani focalizza il discorso autoriale al crocevia di rock e canzone di contenuto.
Tra l’incipit e l’approdo analitico, diverse divagazioni che corroborano la tesi, tagliando trasversalmente hit (un paio delle quali esaminate con sorprendente spirito critico), dannunzianesimo, chitarre elettriche, citazioni, deduzioni, e finalmente il disco rock d’autore del 1977 in cui ogni cosa suona al suo posto e come si deve, a beneficio della storia della canzone che ringrazia sentitamente. Un lp capace di restituire in modo apodittico l’idea di ciò che è stato e sarà Ivan Graziani.
Una via di mezzo tra il rocker duro & puro e il cantautore. Un po’ goliardo e un po’ poeta. Uno che suonava la chitarra e che peraltro la suonava da Dio. Esempio di sintesi dialettica fra musica e parole.
Ivan Graziani, più di ogni altro cantautore, rappresenta una felice anomalia espressiva (ha “piegato” l’italiano al rock, ha cantato la vita e il personale quando il diktat era cantare la politica), l’autore di questo saggio – che si avvale anche della prefazione di Andrea Scanzi – lo riassume, lo rappresenta, gli rende merito e giustizia, e tutto questo lo fa in taglio originale e anti-didascalico, perciò credibile.
Fabrizio Biondi